Discorso sul Coraggio

di
Massimo Valeriano Frisari


In questa società tutto sembra facile e programmato, così sicuro e distante. Ma sappiamo che, forse proprio per queste cagioni, abbiamo perso l’abitudine di metterci in gioco, la naturale e quotidiana sfida alla vita, la resistenza ai nemici insidiosi del corpo e della mente. Non si può di certo affermare che oggi regni il coraggio e il valore. E quando queste virtù –come tante altre cose fondamentalmente buone e naturali- vengono stravolte ecco che sfociano nella morbosità e nella depravazione, come chi scambia la trasgressione e la ricerca di emozioni forti per coraggio, mentre in realtà sono soltanto la testimonianza di uno spirito spento senza più impulsi vitali.
Forse proprio perché le nostre vite sono diventate un grande spettacolo dove noi siamo solo delle comparse irrilevanti abbiamo dimenticato cosa significa esporsi. Ci dicono come pensare, a cosa pensare, dove andare e cosa è giusto fare e noi non possiamo fare altro che farci guidare. Inoltre questo sistema tende a soffocare in ogni modo e con ogni mezzo una nostra naturale tendenza al valore, alla competizione, a quell’aggressività insita nell’animo umano che se viene repressa invece di essere controllata esplode inevitabilmente nel peggiore dei modi.
Ma non solo. Chi oggi detiene il potere, quella classe sociale che ha il controllo, ha tutti i vantaggi nel diffondere la paura e la viltà. Tutte queste cose assieme hanno prodotto l’attuale regime della codardia, di masse inermi, di uomini che preferiscono stare a guardare, di gente convinta che se si esponesse potrebbe perdere tutto –cosa neppure loro lo sanno- oppure essere socialmente isolata.

Qui però non voglio divulgarmi sulle cagioni che hanno prodotto un regime del terrore a livello più vasto ma voglio concentrarmi sul coraggio applicato, quella scintilla che a molti manca, cominciando ad analizzare proprio il suo opposto, ovvero la paura individuale e tutti gli altri timori.
Su cosa si fonda la paura umana, cosa trattiene, immobilizza l’uomo, cosa non lo fa agire e mettersi in pericolo?
Noi in quanto esseri mortali abbiamo principalmente nel nostro istinto il timore e la repulsione verso il dolore e la morte. Da quando l’uomo ha messo piede sulla terra ha cercato in ogni modo, dalla disciplina fisica alla filosofia, di vincere su questi antichi mali. Quindi se non combatte, se non si ribella, se non si getta nella mischia riscattando il suo onore e il suo valore è perché sa benissimo che esponendosi in un contatto diretto subirebbe inevitabilmente un danno fisico di varia natura –da un pugno a un pestaggio- o nel caso peggiore essere anche ucciso. Ecco qui i due ancestrali timori principali nei riguardi del dolore fisico e della morte che da sempre accompagnano l’umanità, ma mentre un tempo si cercava di affrontarli e superarli oggi illusi da una falsa comodità e resi impotenti da una mollezza del corpo e dello spirito vi si può solo che soccombere, e l’unica soluzione che questa odierna società ha trovato è di tenerli il più possibile lontano dalle nostre vite. Questo però sappiamo bene che è impossibile, e la nostra confortevole tecnologia, le storie serene che ogni giorno ci trapiantano nella testa non potranno salvarci dall’inevitabile. 
La paura di perdere una comodità illusoria, un benessere che sappiamo non esistere, e un diffuso e tragico dominio del materialismo sicuramente influenzano sulla nostra apatia. Ma i timori principali restano sempre quelli: il dolore e la morte. La dipendenza maniacale dalle cose materiali, e quindi il terrore di perdere queste, è solo una conseguenza di una cultura dove manca il valore del coraggio e della dignità umana profondamente legato al concetto di libertà.

In tutti i casi, e in tutte le sue forme, a farla da padrone è sempre e comunque il corpo con i suoi incontentabili capricci, sia per quanto riguarda la dipendenza dalle comodità che riteniamo ormai irrinunciabili, sia per la paura del dolore fisico. Ma queste paure, quindi, appartengono solo al nostro corpiciattolo! Può l’anima subire un danno fisico, essere ferita, tagliata, amputata? Può l’anima essere uccisa? No, e se l’anima resiste il corpo la seguirà. E cosa siamo noi se non l’anima, la mente che alimenta questo corpo e fa sì che si muova?
L’uomo libero è colui che domina sé stesso, e il dominio è quello della mente sul corpo. L’anima deve ignorare quello che subisce il corpo, poiché ella ne è immune.
La libertà perciò sta nel dominio sul corpo e su tutte le cose che lo interessano e che cercano di sopraffarlo, e sulla resistenza alla paura e al dolore. Questo è il coraggio.
Un uomo coraggioso che non teme né il dolore né la morte è un uomo invincibile perché ha sradicato la radice della paura; è un uomo libero perché nulla può nuocergli, il terrore e la vile esitazione non possono renderlo schiavo, è padrone di sé stesso e delle sue azioni.

Il corpo non può parlare, non pensa, non prende iniziative, ciò lo fa la mente e l’anima. Allora perché preoccuparci per cose che non ci riguardano? Che sia la schiavitù delle emozioni o la sottomissione a una mollezza fisica il problema è sempre lo stesso. Se ci facciamo comandare dal corpo come pretendiamo di essere liberi, di conservare la nostra dignità e poter vincere i nostri nemici? L’uomo coraggioso ha il totale controllo, non conosce altri padroni se non sé stesso, non fa nulla senza il suo volere, il suo unico bene è la sua libertà che cercherà di difendere da tutto ciò che tenterà di piegarlo, ovvero tutto ciò che sfugge al controllo e alla volontà.
Il nostro primo nemico è proprio il corpo. Noi siamo la mente. Il corpo per sua natura è soggetto alle sensazioni e influenzato dalle cose che lo circondano, e se non viene disciplinato cade presto succube di queste. Moderarlo è compito della mente, che tenterà di frenarlo e guidarlo come farebbe un auriga con il suo carro: cosa succederebbe se l’auriga perdesse il controllo? Il carro, senza più dominio, lo sbatterebbe in una corsa impazzita da una parte all’altra. Lo stesso succede quando la mente soccombe e il corpo si fa trascinare da ogni sorta di evento, timore o passione, in uno sbalzo continuo di umori e di estremi… e se il carro non viene condotto prima o poi termina la sua corsa contro qualche muro.
È una guerra continua questa della mente contro i nemici del corpo, e noi come soldati dobbiamo essere sempre pronti e vigili, tutta la nostra esistenza è un servizio di leva a cui ci congederemo soltanto quando l’anima lascerà l’involucro che la ospita. Siamo sottoposti ad attacchi ininterrotti, e se dovessimo pesare qualsiasi cosa che la sorte ci invia non finiremo più per soffrire: delusioni, malattie, incidenti, quante cose possono capitare ogni giorno! Vogliamo trascorrere l’esistenza abbassando la testa davanti ogni virgola? Gli amori e le false amicizie feriscono, i pugni fanno male, i fallimenti ci demoralizzano, quando qualcosa si rompe ci tocca ricomprarla: questo fa parte della vita, e il coraggio sta proprio nella resistenza da tutti questi turbamenti dell’animo. Resistenza, sopportazione e indifferenza alle inevitabili e imprevedibili sorprese della vita, con la fermezza e la solidità morale di un soldato: cosa farebbe questo se dovesse spaventarsi ad ogni dardo che il nemico gli lancia? Così come il soldato si allena a combattere e a resistere, noi dobbiamo allenarci ad affrontare le sorti con indifferenza e distacco, sempre pronti a fronteggiare ogni evenienza.
I nostri Avi ci hanno tramandato molte storie di valore e di fermezza. Se il coraggio è principalmente la resistenza al dolore –che è il male più forte che può nuocerci maggiormente- non solo la sopportazione di questo è la più alta forma di temerarietà, ma il provocarlo con spavalderia e sprezzo diventa l’apoteosi del valore romano: Muzio Scevola per punire sé stesso e dimostrare che nessuna tortura lo avrebbe piegato lasciò ardere la sua mano nel braciere, davanti gli occhi atterriti del nemico. Gesto analogo fece Pompeo quando catturato lasciò ardere su una fiamma il suo dito come muta risposta al suo barbaro rapitore che voleva sapere i piani dei Romani. Sia Muzio che Pompeo suscitarono la paura del loro nemico proprio perché dominarono la paura, ne attirarono l’ammirazione ed entrambi, col tutto che ebbero fallito e furono catturati, ne uscirono vincitori e salvarono le sorti della loro Patria.
La storia antica ci tramanda molti esempi ricchi di raccapriccianti dettagli che testimoniano con maggior valenza la resistenza quasi disumana di questi uomini, come le torture a cui fu sottoposto Attilio Regolo perché, rifiutando di aver salva la vita, incitò il Senato a non accettare le condizioni dei cartaginesi. Così gli furono recise le palpebre e fatto rotolare dentro una botte con lame affilate che ne smembrarono il corpo. Anche la storia più recente ci presenta prove eloquenti di incrollabile coraggio ai confini dell’inumano: come il governatore veneziano Marco Antonio Bragadin, ultimo signore di Cipro, che fu sottoposto a torture agghiaccianti come solo taluni selvaggi senza onore possono perpetrare, fu gravemente mutilato e martirizzato, e poiché dopo tutto ciò si rifiutò ugualmente di convertirsi alla fede del barbaro venne appeso all’albero della sua nave e scorticato vivo. Ancora è da ricordare Giordano Bruno, come testimonianza dell’inflessibilità della proprie idee, egli sopportò le continue torture e pressioni senza mai rinnegare la filosofia e le idee che lo avevano condotto a quella situazione. Più volte tentarono a farlo ritrattare, ma il suo credo era più forte, anche delle fiamme che lentamente arsero le sue membra.

Tutti questi esempi devono portarci a riflettere sul coraggio, sulla grandezza di un animo incorruttibile che trae forza dal suo onore e dai suoi valori. Questi uomini erano invincibili perché neppure le sevizie più crudeli potevano fargli cambiare idea, nulla, né il fuoco né la nuda carne potevano piegarli e sottometterli. E vinsero, perché un uomo così sarà libero in eterno, quello che i posteri ricorderanno sarà la grandezza del loro animo, e il fallimento dei loro aguzzini.
Cosa sarebbe successo se si fossero fermati, se il loro credo sarebbe stato soffocato dalla paura e dal dolore fisico, e soprattutto dalla promessa di una morte certa? Per uomini così sarebbe impossibile, non perché siano diversi da altri –la carne è carne per tutti- ma perché testimoniano la grandezza dall’anima e la piccolezza del corpo.
L’anima non può subire il dolore, non può essere ferita o torturata, non può essere catturata e imprigionata; ma può subire l’umiliazione, questo sì, il disonore e la sconfitta morale. E mentre una cicatrice sul corpo ha il valore di una medaglia, quelle ferite dell’anima sono solchi profondi che non si rimarginano facilmente.